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Notizie storiche

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Poche ed incerte sono le notizie sull'origine del nome e dell'abitato di Savoia di Lucania. Il suo primo toponimo fu Salvia derivante, come vuole il Racioppi, dal latino saulia che, simile a sauleia, significa "luogo impiantato a salici"; ma tale ipotesi non è giustificata dalla topografia montuosa della terra, perciò è da ritenersi più valida la tesi dell Alfano: così detta dall'abbondanza dell'erba salvia che nasce nel monte dov'è situata.

Per migliaia d'anni raccogliendo conchiglie marine o altri fossili tra i monti, gli antichi abitanti di Savoia devono essersi chiesti come potevano essere arrivati fin lì. Oggi sappiamo per certo che proprio in questa zona durante la grande epoca glaciale c'era il mare e allorquando questo si ritirò emersero quelle terre che oggi vediamo.La Lucania era già abitata all'epoca dai Mammut ed anch'essa ebbe le sue età preistoriche della pietra, del bronzo e del ferro le cui testimonianze sono conservate nel Museo Archeologico di Potenza. Anche nei territori limitrofi a Savoia sono stati ritrovati oggetti di pietra scheggiata che si fanno risalire al paleolitico e al neolitico; in particolare i rinvenimenti della località Vetraursa di S. Angelo e Serra alta di Piperno.

Altri reperti archeologici (frammenti di ceramica dipinta con vernice nera)testimoniano la presenza romana tra i monti dove oggi sorge Savoia. Toponimi e leggende fanno supporre che la battaglia, citata negli annali al cap. 12 del libro 25 di Tito Livio, avvenuta nel 212 a.C. fra i Cartaginesi e i Romani, sia accaduta proprio al confine fra i comuni di Vietri di Potenza e Savoia, in zona Campitelli, dove esiste ancora quella che il Lacava ritiene sia la "fontana di Annibale" e dove sono rinvenuti i frammenti di ceramica.Non esistono documenti che avvalorano tale ipotesi; tuttavia, che la zona abbia visto insediamenti romani e testimoniato dalla presenza, nell'area dell'attuale scuola materna, d'altre tombe romane. Inoltre il toponimo Perolla, nome di una frazione di Savoia, sembra che derivi dal nome del figlio del condottiero romano Pacuvio Calavio Captano, Perolla, che perse la vita nel tentativo di uccidere Annibale. Si racconta, infatti, che il giovane, di notte, penetrato all'interno del campo dei Cartaginesi ,fu sorpreso ed ucciso dalle sentinelle.

Un altro toponimo, il lago di Buda, lascia supporre che prima dell'anno mille bande saracene, dopo aver distrutto Grumentum, si sarebbero spinte tra queste montagne e si sarebbero fermate fino al 915 quando Guaimaro,il principe longobardo di Salerno, tolse ai saraceni le terre che avevano occupato nell'alta valle dell'Agri.

Intorno alla fine del primo millennio, provenienti dal Merkourion, monaci di rito greco, i Basiliani, si fermarono in questi luoghi e costruirono una chiesa che dedicarono a Biagio, il Santo Vescovo di Sebaste, martire al tempo dell'imperatore Licinio.

Guaritori e medici, questi monaci coltivavano la salvia e in primavera intorno alla loro chiesa era un campo di fiori violacei tanto che la loro chiesa fu indicata come San Biagio di Salvia e Salvia fu il nome del casale sorto nelle sue vicinanze.

Le prime notizie certe di questa chiesa e del casale risalgono all'età normanna; l'attesta il catalogo dei baroni (1150-1168) dal quale si evince anche che Salvia è feudo della contea di Satriano e Pietrafesa e che erano stati i coloni, dediti alla coltivazione delle terre appartenenti al Conte Vescovo, a creare i primi "casali" nelle località ancora oggi denominate Casale, Castellano, Casino di Monsignore.

A metà dell'undicesimo secolo,quando molte chiese di rito greco passarono ai Benedettini, anche San Biagio di Salvia passò a loro e Coro, il padre benedettino arcivescovo di Monreale, segnalò questa chiesa a Gulglielmo II di Sicilia, il quale donò terra ai monaci di San Biagio e li pose sotto la protezione di Guarinus de Salvia, il cavaliere normanno alle dipendenze del conte di Pietrafesa cui era stato assegnato in feudo il casale di Salvia: quindi Salvia era un piccolo feudo nel 1167, quando i normanni chiesero ai feudatari uomini per l'armata destinata nei Balcani; Guarinus doveva fornire soltanto due militi, ossia due cavalieri e otto serventi.

L'antico borgo medievale, sorto in posizione dell'attuale paese, a dominio di una profonda gola scavata dal corso del fiume Melandro, subì quindi la sorte comune a tutti i paesi lucani facenti parte del Giustizierato di Principato, passando di feudatario in feudatario, dai Sanseverino di Marsico a Giovanni De Hauches, ai Gesualdo cui fu ceduto dagli Aragonesi, fino ai Caracciolo e ai Laviano.

Nei primi anni del XIII secolo, quando Ottone IV scese in Italia Meridionale per impossessarsi del Regno di Sicilia, Salvia rimase fedele al figlio di Costanza d' Altavilla e fedeli al pupillo del Pontefice rimasero i monaci di San Biagio. Per essersi opposti ad Ottone, quei monaci furono privati dei loro beni. Nel 1220 però, quando Federico II scese in Italia, i Monaci di San Biagio si rivolsero a lui per riottenere i beni che erano stati sottratti alla loro chiesa. L'imperatore accolse ed ascoltò il priore ed ordinò al baiulo Ruggero de Yazzolino di esaminare e risolvere la richiesta dei Monaci di San Biagio di Salvia. Robertus de Salvia, il milite al quale Federico II aveva assegnato il feudo di Salvia, fu inteso da Ruggero, furono intesi i villani del Casale e fu inteso anche Nicola, il vescovo di Satriano. Si tenne curia nell'ottobre del 1223 e i Monaci di San Biagio riebbero le loro terre.

Nel Regesto di Federico II si evince che prima dell'anno 1239 esisteva un feudo governato da un certo Robertus de Salvia e che egli insieme con altri feudatari, fedeli a Federico, avrebbero dovuto provvedere alla custodia di un certo numero di prigionieri Longobardi: ne consegue che nel territorio di Salvia esisteva una struttura idonea, forse fortificata atta a tale scopo.

L'ubicazione di tale struttura proprio nel luogo dell'attuale castello è confermata dal fatto che in tutto il territorio di Salvia esisteva in qull'epoca soltanto un' altra costruzione di rilevante importanza, il Casino di Monsignore, che in ogni modo fin dal 1011 apparteneva al feudo vescovile e tale rimase fino al diciottesimo secolo. Sicuramente, esisteva già un castello che Federico II aveva fatto costruire come luogo di sosta nel tragitto che collegava Potenza e Satriano.

Dopo la morte di Roberto D'Angiò, i due casali, Salvia e San Biagio furono assegnati al Conte di Conza, Giovannello Gesualdo. Il suo successore Ruggero, sostenne Ladislao e nel 1399 fu privato del feudo di Salvia che Luigi II D'Angiò assegnò a Luigi Sanseverino, conte di Marsico. Con Ladislao, Salvia tornò ai Gesualdo e nel 1443 Carlo Gesualdo, conte di Conza e signore di Salvia, fu tra i baroni napoletani che giurarono fedeltà ad Alfonzo D'Aragona, re di Napoli.

A Carlo successe nel 1475 Mattia e questi Nicola, che vendette il feudo ad Antonio Caracciolo.

Con lui Salvia visse il periodo più felice della sua storia; fu proprio il barone ad ingrandire il castello e per tale opere si trasferirono a Salvia maestranze dei centri vicini.

Il feudo però mutò presto padrone: infatti, nel 1579 i Caracciolo lo vendettero a Fabbrizio Gesualdo e in seguito fu posseduto dai Boncompagni Ludovisi che nel 1658 lo vendettero a Pietro Laviano, la cui famiglia lo possedette fino a quando la legge del 2 agosto 1806 abolì la feudalità con tutte le sue attribuzioni ed estese a tutte le città, terre e castelli la legge comune del Regno delle Due Sicilie.

Sotto i Laviano Salvia alternò periodi di sviluppo ad altri difficili legati anche alle continue dispute con i vescovi di Satriano che nel 1663 portarono alla scomunica di Pietro Laviano. Anche la peste del 1656 ebbe le sue ripercussioni sul paese la cui popolazione venne decimata. Fortunatamente, invece, non procurò danni incendi il terremoto del 1694 a differenza dei paesi limitrofi.

Sempre intorno alla metà del seicento anche Salvia fu coinvolta nei moti antispagnoli che sconvolsero le province napoletane e coma la vicina Brienza, anch'essa costrinse il governatore e gli agenti del Barone a lasciare il governo cittadino.

Non ebbe Salvia nel 1648 il suo capitano del popolo, ma i maggiorenti acquistarono nuova coscienza, intensificarono i rapporti con Salerno, capoluogo della loro provincia, e con Napoli dove, anche da Salvia ,giungevano giovani per seguire corsi universitari.

Intanto la qualità della vita dei salviani migliora. Non sono più soltanto villani gli abitanti: molti si sono arricchiti con l'industria dell'agricoltura, della pastorizia e degli animali neri, ossia dei suini.

Molti artigiani hanno aperto le loro botteghe; le famiglie più autorevoli, quelle che si sono arricchite con il commercio e che hanno tra loro un dottore, costruiscono le loro "case palazziate".

Si assiste ad un consistente sviluppo in tutti i campi e con il passare degli anni Salvia si ingrandisce - gli abitanti aumentato fino a raggiungere il numero di 1265 nell'ultimo decennio 1776/85 -, si organizza e diventa comune.

Nel 1779 anche Salvia innalza l'albero della libertà e, quando elementi sanfedisti insorgono contro le municipalità repubblicane, Antonio Lupo accorre con i repubblicani di Salvia a Vietri dove uno scontro a fuoco con le fazioni sanfediste cade il 4 aprile 1799.

A contare dal gennaio 1844 Salvia, che aveva sempre fatto parte del Giustizierato e poi dell'udienza del Principato, ossia della provincia di Salerno, fu staccata da questa ed aggregata alla Lucania.

Salvia ebbe la sua vendita Carbonara e ne fu gran maestro Luigi Ilaria, un galantuomo coinvolto nei moti del 1820/21. Nel 1848 i carbonari affiliati sin dal 1840 alla setta della Giovane Italia, che aveva accettato il programma Giobertiano ed aveva il suo centro a Potenza intorno a Vincenzo D'Errico, si costituirono in circolo costituzionale, il cui presidente fu Rocco Sivolella.

A Salvia la vita scorreva calma e monotona; la popolazione prevalentemente dedita all'agricoltura, lavorava e viveva miseramente. Essa manifestava la propria religiosità con una serie di atteggiamenti, atti, cerimonie che erano l'osservanza di un insieme di remotissime tradizioni, antiche usanze, barbare e pagane costumanze superstiziose. Tuttavia le nuove idee liberali, repubblicane e nazionaliste comunitarie non mancarono di arrivare, di diffondersi e far seguaci una parte dell'agiata borghesia locale.

Nel maggio del 1860 quando in tutta l'Italia meridionale si diffuse la tanto attesa notizia dello sbarco di Garibaldi in Sicilia e poi dell'inizio della sua trionfale marcia verso Napoli, anche in Lucania la congiura, che era rimasta a lungo nell'ombra, esplose nelle piazze. Non rimase estranea allo straordinario avvenimento rivoluzionario ed unitario Zaccaria Taglianetti che, partendo da Salvia alla testa di un buon numero di soldati, contribuì sul Marmo al disarmo della gendarmeria borbonica. Cominciò poi un periodo in cui molta gente del sud, ridotta in povertà per le troppe tasse imposte dal Governo del nuovo Regno d'Italia, entrò a far parte dell'esercito silenzioso dei briganti.

Nell'opera di repressione del brigantaggio locale si distinse ancora una volta il capitano Zaccaria Taglianetti il quale, per i meriti conseguiti, fu autorizzato a fregiarsi della medaglia commemorativa dell'indipendenza ed Unità d'Italia istituita con regio decreto del 4 marzo 1865.

Nel 1879 il paese muta il suo toponimo: Salvia diventa Savoia di Lucania. Il 17 novembre del 1878, a Napoli, Giovanni Passannante attenta alla vita del re Umberto I. La stampa condanna unanime l'attentato e il 22 novembre, con un inqualificabile atto di servilismo, il consiglio comunale di Salvia, dove il 19 febbraio 1848 era nato il Passannante, manifesta lo sdegno per il "gesto criminoso" diretto a privare l'Italia del suo Re e, per dimostrare la profonda dedizione al sovrano, chiede che il paese sia autorizzato a mutare la denominazione da Salvia in Savoia di Lucania.

La richiesta piace al sovrano e col R. Decreto del 3 luglio 1879, si approva il cambio.

Una seconda volta Savoia di Lucania sale alla ribalta delle cronache nazionali: era il 30 gennaio 1915, quando accadde una rovinosa frana. Il movimento si manifestò nella notte del 28 gennaio. Nella notte successiva il movimento riprese progredendo verso l'alto; il mattino del 30 si ebbe il crollo delle prime case coloniche e si verificarono i primi veri sprofondamenti del terreno, tendenti ad andare sempre più verso il fiume Melandro.

Il movimento ininterrotto si propagò nel pomeriggio dello stesso giorno dalla Vallina alla contrada dei Giardini e all'abitato stesso: il primo fenomeno ad essere notato fu l'aumento di volume dell'acqua della fontana posta nella piazza principale e il formarsi di crepe in alcune abitazioni in vicinanza della stessa piazza. Furono sgomberate, per l'intelligente prudenza del Sindaco, le case pericolanti e fu deviato l'acquedotto che alimentava la fontana. Alle ore 16,00 l'area della piazza, compresa la parte sottostante, cominciò a scivolare lasciando solo la fontana e alcuni fabbricati lì intorno. Anche il letto del fiume si era sollevato ostruendone il corso e formando un laghetto, esteso fino all'origine della rotabile provinciale del Melandro. I suoi fenomeni successivi alterarono poco la regione mediana; alla testa del canalone invece frammenti minori asportavano altri lembi del paese, prolungando l'inizio della lunga voragine.

Gli ultimi movimenti da questo lato si ebbero circa venti giorni dopo con la caduta di una parte del palazzo Vignola ed altre case situate al margine opposto. In seguito crollarono interamente alcune delle case già considerate pericolanti.

All'episodio sono collegate numerose testimonianze che a volte sconfinano nel leggendario. A detta degli abitanti più anziani, sembra che una grande croce sia rimasta in piedi lungo tutto il percorso dalla piazza alla Vallina e che un gallo abbia effettuato lo stesso percorso ruotando su una botte piena di vino.

L'accenno al gallo è tipico nelle "magie" salviane giacchè nell'antichità si era soliti osservare il pennuto che se cantava muovendo la testa dall'alto in basso era di malaugurio se invece la muoveva al contrario era di buon auspicio.

Savoia di Lucania cominciò comunque ad uscire dall'isolamento in cui era stata costretta, soprattutto per ragioni orografiche, nel primo ventennio del 1900 quando fu costruita la strada provinciale Vietrese. Tale via, infatti, ha favorito i contatti dei Salviani con le popolazioni vicine incrementando gli scambi commerciali e dando anche l'opportunità ai giovani di frequentare la scuola di Vietri di Potenza, di Salerno e di Napoli.

Ma il tenore di vita dei salviani è migliorato soprattutto attorno agli anni sessanta quando anche Savoia ha tratto di riflesso giovamento dal "boom economico" che ha consentito agli emigrati di inviare rimesse di denaro al paese che sono servite per l'acquisto e la costruzione di immobili urbani e rurali.

Sessantacinque anni dopo la frana, il 23 novembre 1980 alle ore 19.34 un terremoto del nono grado della scala mercalli sconvolse la tranquilla vita dei salviani. Il sisma fu terribile. La situazione apparve subito critica per diversi aspetti: l'ampiezza del territorio colpito; la caratteristica del paese "a presepe" tra i monti, con strade strette e tortuose e case vecchie di secoli; una popolazione in prevalenza di anziani, donne e bambini; la mancanza quasi totale di reparti armati, dislocati per ovvie ragioni nell'Italia settentrionale; la scarsa disponibilità di mezzi meccanici per scavare ed aprire strade; la carenza di personale tecnico con esperienza e con attrezzature adeguate; l'inefficienza di molte strutture dello Stato.

Il resto è storia di oggi: la contrastata posizione dei villaggi dei prefabbricati nelle zone di Valluria e S. Maria, l'inizio della ricostruzione, la speranza che avvenga per il paese quello sviluppo idoneo da permettere ai suoi "figli" emigrati di ritornare al paese.